CIBO E CULTURA
Il cibo è essenzialmente nutrimento, sostentamento e bisogno, ma è anche cultura, sovrastruttura e pensiero. L’alimentazione è infatti una forma di comunicazione, un insieme simbolico che individua i rapporti fra le classi sociali, stabilisce l’unicità e la diversità rispetto agli altri, separa il “noi” dagli “altri”.
Del resto è noto che il modo di preparare un piatto è un’azione culturale, dove è possibile riconoscere la geografia e la storia di un popolo, le strategie adattive applicate da una comunità rispetto all’ambiente esterno. I ritmi stagionali scandivano la produzione e la conservazione dei cibi; c’erano periodi dell’anno in cui le risorse alimentari diminuivano e la necessità di reperirle si faceva impellente, determinata anche dalla disparità dei ceti sociali.
Ad esempio le questue, che segnavano nelle campagne il primo e più freddo periodo dell’anno fino alle festività pasquali, avevano una duplice finalità: quella rituale legata alla “morte” e rifondazione del tempo agrario e quella sociale, in cui in un’ottica quasi paternalistica le classi più abbienti provvedevano ai bisogni della classi più povere. Aspetti religiosi si innestano in questa trama del bisogno (Canto all’Uovo) anche se, con il passare del tempo e il miglioramento generale delle condizioni economiche, le questue si sono arricchite di una dimensione più ludica, diventando pretesto di festa.
Un ulteriore aspetto culturale del cibo è ravvisabile nelle preparazioni legate ai “pasti rituali”, ossia quei pasti strettamente legati a momenti collettivi di condivisione e/o tributo nei confronti della natura prima e dei santi dopo (il Falò di San Giuseppe ne è un esempio).
L’assunzione di particolari alimenti si lega ad un ulteriore aspetto della cultura popolare, che è quello dei rimedi contro le malattie, che se in alcuni casi non avevano un riscontro di guarigione, servivano quanto meno ad alleviare la morbilità. I cibi curativi erano, e talvolta lo sono ancora, somministrati da chi conosceva le proprietà e l’uso delle piante che crescevano spontanee o che venivano coltivate appositamente con questi scopi.
Le stesse pratiche di cura (l’affascina ne è un esempio) fanno della cucina il loro spazio d’elezione: l’uso dell’olio come elemento terapeutico appare in moltissime comunità ed è considerato simbolo di positività, inoltre l’acqua è stata usata fin dall’antichità per allontanare la negatività e gli spiriti maligni (già fra gli Ebrei, i Greci e i Romani, era utilizzata per i riti di purificazione o lustrazione, spesso con l’aggiunta di sale).
Cibo che si intreccia con i riti di passaggio della vita dell’uomo, cibo che sottolinea la sacralità di una ricorrenza religiosa, cibo e preghiera, cibo magico che cura, cibo dei ricchi e cibo dei poveri. “Il cibo insomma nasce con noi e diventa parte integrante della nostra vita, si amalgama alle emozioni, al nostro sistema di valori […]. Ce n’è abbastanza per considerarlo non solo dal punto di vista biologico bensì come vero e proprio linguaggio: una lingua antica quanto il genere umano.” [Cfr. Schiavon, “La parola al cibo”]