I DOLCI E I FESTEGGIAMENTI

Estratto dallo scapolo dei ricordi N.13 di Angelo Giorgio Mutinati

 

Dovete sapere che l’idea di andare in pasticceria per acquistare i dolci, era assolutamente inesistente: i dolci si preparavano in casa. I più frequenti e comuni erano: i taralli; i biscotti; le paste secche di mandorla; la pasta reale di mandorle (sagomata a polpette, semplice, oppure – che goduria – con la marmellata di pere all’interno); i cannuoli; le “f’cazze frac’t’ “ – focacce fradice: la pasta dei taralli si tira a sfoglia; con un bicchiere, si taglia a cerchi; su una metà del cerchio di mette la marmellata ed un gheriglio di noce ed un pezzo di buccia di limone, si richiude sopra l’altra metà, premendo sui bordi, e si inforna -.

Anche i liquori, si preparavano in casa; era il rosolio di strega, di alchermes, di anice, ecc. Il costo proibitivo dell’alcool, imponeva di servire il rosolio in bicchieri piccolissimi: oggi, a vederli, non si può non sorridere. A me, dei liquori, non importava un fico secco. Ma dei dolci, sì, eccome. Ma i dolci si facevano soltanto per determinate e particolari occasioni: qualche festeggiamento, o qualche ricorrenza. I festeggiamenti che ricordo, sono i battesimi di mia sorella Rosanna e, ancora maggiormente, del piccolo Elio.

 

Gli invitati erano tutti ospitati nella sala (massimo metri 5 x 5); si accomodavano su sedie (a quelle di casa, si aggiungevano altre prestate dai vicini). Ai padrini ed ai notabili, era riservato il “sofà”; le sedie, invece, per inevitabile necessità, erano disposte lungo il perimetro della sala, in doppia (ed anche) tripla fila.

 

Iniziata la festa, mamma, nonna e qualche amica più vicina, cominciavano la spola col piano superiore, per offrire “i cumpl’mint’ “ – i complimenti, cioè, la ristorazione dolciaria -. Qualche signora sfacciata, teneva la borsetta fra le ginocchia, al fine di farvi agevolmente scivolar dentro qualche dolcetto … distrattamente preso in doppia dose. Prima si faceva il giro col vassoio di un dolce, poi quello col vassoio di un rosolio, e così di seguito; alla fine, si distribuiva una manciata di confetti. E la festa, finiva. I dolci, naturalmente con minore assortimento e quantità, si preparavano anche in attesa di qualche festività; ma il principio espresso era sempre del tipo:  “Arriva San Rocco, se viene qualcuno a trovarci, che figura facciamo, senza offrire qualcosa ?”. Mi torna ancora in mente, questo autentico ritornello. Finito l’uso primario per il quale erano stati preparati, mamma riservava una modica quantità delle sue preziose leccornie per servirle nei primi pasti successivi, facendo sparire le altre: perchè “c’ s’acchie v’nenn nguiuun’, nang’ putim’ fè  brutta fiur’ ”  – perchè, se si trova a venire qualcuno, non possiamo fare brutta figura -.