GLI ARTIGIANI

 

La gente di paese spesso e volentieri chiamava “nobili” i proprietari terrieri benestanti, ma in senso figurato; fra i criteri che conferivano agli individui uno status sociale elevato figurano la ricchezza, l’istruzione, il lavoro non manuale e un cognome antico, cioè una lunga appartenenza all’elitè di Locorotondo.

Anche all’interno della categoria degli “artigiani” esisteva una gerarchia: le categorie più alte venivano chiamate “li artiri”, in quanto il loro mestiere era considerato un’arte, tra questi si annoverano i sarti, i barbieri, i ciabattini, i falegnami. Quindi si collocavano i tagliapietre “a razze de polvere” [gli uomini impolverati], chiamati così proprio per la polvere di pietra calcarea che li ricoprivano quando lavoravano. Gli scultori erano invece visti con più benevolenza perché svolgevano un lavoro artistico.

L’apprendistato era una parte importante della giovinezza di uomini e donne appartenenti alla categoria artigiana, tutti i ragazzi diventavano apprendisti, e non necessariamente presso i loro padri. Talvolta infatti i genitori facevano imparare ai figli un mestiere diverso, quello del sarto, ad esempio, nell’intento di migliorare la propria posizione sociale con un mestiere più prestigioso.

Dopo la scuola elementare anche le ragazze diventavano apprendiste presso cucitrici e ricamatrici, tuttavia i genitori si aspettavano che lasciassero il lavoro una volta sposate.

La caratteristica più saliente di questo tirocinio di apprendistato era che il carattere dei giovani veniva formato da due tipologie di persone: i genitori, con i quali vivevano, e i maestri con i quali lavoravano, e con cui passavano la maggior parte delle loro giornate.

Gli artigiani descrivono i loro maestri come personaggi severi ed esigenti, capaci però di trasmettere competenze e soprattutto il rispetto per il mestiere.

 

 

 

“L’UOMO CON LA PALA LA DONNA CON IL CUCCHIAIO”

 

Questo proverbio rispecchia in maniera figurata la divisione dei compiti e quindi dei rispettivi ruoli che uomini e donne dovrebbero avere nella gestione degli affari domestici. Se di primo acchito si fornisce un’interpretazione letterale si rischia di ridurre notevolmente la portata socio-culturale del proverbio. Infatti analizzando il contesto rurale si evince come le attività svolte dalle donne non sono delimitate dalle mura domestiche. In ogni attività agricola il lavoro viene diviso tra i sessi, ad esempio la raccolta delle olive e della frutta viene effettuata dalle donne, mentre il trasporto è affidato agli uomini, parimenti sono gli uomini ad occuparsi della potatura, ma la raccolta dei rami e dei viticci da scarto, usati nei camini per cucinare, è lasciata alle donne. Quindi la pala e il cucchiaio non rappresentano solo letteralmente i mestieri agricoli e quelli domestici, ma i due oggetti (quasi uguali nella forma ma molto diverso negli usi) cristallizzano la complementarietà dei ruoli dei due sessi.

Questa complementarietà è il prodotto di una strategia di adattamento adottata dal contado di Locorotondo, per rispettare il contratto di enfiteusi. Infatti era necessario ottimizzare il lavoro di uomini  e donne per poter trasformare la terra in vigne nel giro di pochi anni.